N ella sua torbidezza salmastra, tutta giocata su queste gradazioni lagunari del verde, la love story di Del Toro calca sentieri palustri della poesia, in cui il sentimento va di pari passo alla sensazione. C’è difatti un paradosso dialettico costante, tra garbo e nefandezza, che tutto sommato riescono a coesistere, non senza ripercussioni sull’impatto generale dell’opera. A un certo metalinguismo - in un paio di episodi particolarmente riuscito - si alterna una declinazione splatter di serie B, cruda ed eccessiva. Se, quindi, la chimera mostruosa (identità fantastica recuperata, con nostalgia, dall’horror anni ’50) non può che rapportarsi con un’architettura decadente e di antico fasto come un cinema - curiosamente posto sotto l’appartamento di Elisa - colpita direttamente dal fascio di luce della proiezione, sancendo la sua natura di rêverie e la qualità mitopoietica del cinema, allo stesso modo, tramite un processo di scarnificazione linguistica del cinema - che sacri