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Visualizzazione dei post da gennaio, 2019

BIRDBOX - SUSANNE BIER

P roseguendo sulla scia degli horror sulla privazione dei sensi, di recente ripreso da A Quiet Place , BirdBox - tratto dal romanzo di Josh Malerman - concilia piccole pretese e mero intrattenimento ridimensionato al piccolo schermo (quello via Netflix). La Bier ci mette giusto il mestiere e opera con approssimazione: quanta sveltezza nel prologo, quanta inconsistenza di sguardo sui personaggi di contorno! Come con la goffa Paulson, nei disastrosi minuti iniziali, o il poco aderente Malkovich, che nella parte proprio non riesce a entrare. Fatta eccezione di un finale votato a un rassicurante sentimento quasi ecumenico - che non è comunque così male come dicono - l’etica del racconto è poi di ambiguo orientamento: i pazzi, che di fatto non sono quelli “pirandelliani”, sono davvero cattivi e la loro esenzione dalla realtà più accreditata va a discapito di tutti gli altri; la loro ricerca della verità, quella che alcuni “dotti” del pensiero avvaloravano come libertà, pura e auten

AT ETERNITY'S GATE - JULIAN SCHNABEL

C he curioso lavoro At Eternity’s Gate! Schnabel - che è anche pittore - non solo rifugge la maniera e il calligrafico rievocativo, consuetudine e vezzo del bio-pic “in costume”, ma la sua tecnica è anche sporca, sostiene il peso della camera a spalla, (ri-)utilizza semplici trucchi (un filtro, un vetro) per restituire una qualche alterazione percettiva e clinica della retina (maculopatia?). C'è poi il gusto autoriale, quello che demarca il perimetro del "metodo", superandolo, e permette quindi l'accesso a una forma peculiare, a un linguaggio "eletto", qui di pura ispirazione e di potente fremito. Ecco allora  soggettive, piani ravvicinati (e ravvicinatissimi), con cui si rinnova quell’auspicio di simbiosi tra obiettivo e attore, che tanto piaceva al Kammerspiel: si rintracciano, con curiosità e - scontato da dire - sensibilità quasi pittorica, quelle minime linee d’ombra sui volti, che si trascinano dietro una potente capacità drammaturgica, complem

VICE - ADAM MCKAY

A ggirando il rischio del didascalismo, vagamente episodico e nozionistico, del film biografico medio, McKay trascende il genere e ne amplifica la portata, indagando anche su mezzi e linguaggio - quindi sulle possibilità - del cinema, svincolato da ogni etichetta. Sta qui la capacità di collezionare una serie di suggestioni e associazioni che - come ne La Grande Scommessa - si avvale di un lavoro di montaggio (ad opera di Hank Corwin) massiccio e sofisticato, tutto votato alla ricerca di un “senso”, di significato. È difatti a partire da una forte dialettica tra dispositivo e soggetto che il metalinguaggio si fa particolarmente gustoso, rasentando a tratti anche la poesia (ad esempio in una significativa corrispondenza d’immagini tra il discorso di Bush Jr. e una famiglia irachena sotto ai bombardamenti). In questo quadro sui generis perfino un espediente scontato come il voice over si dimostra, infine, veicolo di un’ ironia affilatissima. Ma il film è anche suo: il Cheney di

MARY POPPINS RETURNS - ROB MARSHALL

I l vento cambia a Viale dei Ciliegi, e la celebre bambinaia, a mo' di cherubino, appare nel cielo plumbeo di Londra, proprio come fece qualche decennio prima, sempre davanti casa dei Banks, ma impigliata stavolta  a un aquilone sfasciato : di fatto l’unico episodio realmente spettacolare di questo Returns . Il confronto grava e c'è da ammetterlo: Emily Blunt non è Julie Andrews. È carina e ha garbo ma tutt'altro che "praticamente perfetta, sotto ogni aspetto!": mai  vista del resto una Mary Poppins così accomodante e incline alla leggerezza!  Di contro, i piccoli Banks sono fin troppo intraprendenti e non conoscono castigo che non sia un fugace rimprovero del babbo bonaccione e vedovo. Anzi, è difficilmente condannabile il loro essere così leziosamente disponibili e responsabili (li vediamo all'inizio dirigersi alla drogheria, badando al più piccolo, Georgie, da veri e bravi fratelli maggiori) e anche il gesto più sovversivo che compiono è dettato da u

L’AMICA GENIALE - SAVERIO COSTANZO

I l merito di Costanzo è, prima di tutto, nell’adesione a un realismo - complice anche l’adozione del dialetto - che non si traduce in sterile vanità di adesione al “reale” geografico, quanto in una compenetrazione di scelta autoriale e soggetto, da cui detona, in tutta la sua irruenza, una vitalità implacabile. La lingua parlata è ne L’ Amica Geniale non solo mezzo ma anche e sopratutto contenuto. Il bilinguismo, con cui si oscilla dall’italiano al dialetto, comporta di fatto uno slittamento semantico non trascurabile: il primo è associato al rione, il secondo al mondo al di là di questo, ma soprattutto alla cultura (e alla sua ostentazione). In secondo luogo, Costanzo è assai puntuale nel rigore con cui riconduce alle due protagoniste ogni progresso della narrazione, come del resto è nel bel romanzo di formazione della Ferrante: per Lenù e Lila - attraverso i loro volti azzeccati e altamente espressivi - passano la Storia, il degrado di un ambiente, il silenzioso moto d