Il merito di Costanzo è, prima di tutto, nell’adesione a un realismo - complice anche l’adozione del dialetto - che non si traduce in sterile vanità di adesione al “reale” geografico, quanto in una compenetrazione di scelta autoriale e soggetto, da cui detona, in tutta la sua irruenza, una vitalità implacabile. La lingua parlata è ne L’ Amica Geniale non solo mezzo ma anche e sopratutto contenuto. Il bilinguismo, con cui si oscilla dall’italiano al dialetto, comporta di fatto uno slittamento semantico non trascurabile: il primo è associato al rione, il secondo al mondo al di là di questo, ma soprattutto alla cultura (e alla sua ostentazione).
In secondo luogo, Costanzo è assai puntuale nel rigore con cui riconduce alle due protagoniste ogni progresso della narrazione, come del resto è nel bel romanzo di formazione della Ferrante: per Lenù e Lila - attraverso i loro volti azzeccati e altamente espressivi - passano la Storia, il degrado di un ambiente, il silenzioso moto di una rivoluzione tanto intima quanto collettiva, condotto con armi impari (l’istruzione, prima su tutte) o le stesse adottate dalla collettività (il crimine, l’inganno). Non è un caso che anche gli spazi acquistino in più occasioni una neutralità quasi archetipica: il rione, in cui Lenù e Lila crescono, è in genere una quinta spoglia, di austere geometrie grigio-bianche, incastonate in un paesaggio scarno addossato a un cielo piatto. Proprio il sobborgo (che non ha di fatto nome), focolaio di tensione e violenza - smussati comunque rispetto al testo della Ferrante - si presta a proscenio ideale dove combattere una guerra contro un nemico di identità mutevole: che abbia il volto di Don Achille o la spettrale brutalità, dal fascino crucciato e dimesso, dell’ignoranza.
L’esplorazione di luoghi altri - che è anche crescita - si apre invece su scenari ricchi e dettagliati ( Ponza e Napoli). L’identità geografica spetta quindi solo all’”altrove”, al di là dello spazio ventrale - ma mai rassicurante e materno - della periferia.
Come per la lingua e i cambi di scenari , la variazione di registri è speculare a un processo di crescita di personaggi e racconto: l’infanzia, dove il gioco e la scuola gettano le basi della consapevolezza, trattenuta ancora dalla morsa morbida del sogno (le bambole, l’orco, le favole), cede il passo a una pubertà che cova disprezzo e ribellione, quindi una sete di emancipazione votata in parte - o almeno per una delle due protagoniste - al fallimento.
Perfino il lavoro sui corpi restituisce una mutevolezza quasi plastica, soprattutto nell’adolescenza: al “marchese”, all’acne, alle curve che prepotentemente insorgono contro il capriccio irreprensibile dell’infanzia (che vorrebbe poter controllare anche la naturale e fisiologica evoluzione del corpo, nel caso di Lila), presto si sostituisce la coscienza, il desiderio e il piacere (anche violato).
L’Amica Geniale è quindi un prodotto atipico per la TV (generalista, s’intende), tanto complesso quanto di facile - al suo livello più superficiale e meramente narrativo - di lettura; un connubio esaltante di intenti autoriali e di gusto “popolare”, un compromesso tra alto e basso (binomio, spesso feroce, molto presente nella serie: forse metalinguistico?) a cui guardare con ispirazione.
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