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LA LA LAND - DAMIEN CHAZELLE



Sul totale di una tangenziale trafficata, sotto il sole di un dicembre californiano, si consuma il primo exploit del dispositivo cinematografico: La La Land (aka Los Angeles) si avvale da subito del mezzo cinematografico per ribadire il suo intento metalinguistico, prima che nostalgico. Se il piano-sequenza è adottato come scrittura dello spettacolo, in gran parte dei momenti musicali, esplorando le potenzialità espressive del cinema, nel raccordo di macchina – e di sguardo, nella luce soffusa di un pianobar del sotto-finale - il racconto (si) rilancia, a favore della chimera filmica, in quello che è probabilmente uno dei più significativi bluff drammaturgici degli ultimi anni. A confrontarsi con questa drammaturgia, improntata sulla norma del cinema (musicale ma non solo ) degli anni ’50 e a seguire, è la realtà, a suo modo tragica, del non-film. Da cui l’espediente prettamente cinematografico non è esente: ecco che un’ideale asse circolare (ritorna il raccordo, ora simulato a livello diegetico) conduce da un dito medio sfoggiato in autostrada a un cenno di assenso, a cui la commozione la fa da padrone. E se gli sguardi in macchina e i jump-cut di montaggio (vedere, tra le tante, la fantasiosa sequenza nell’osservatorio astronomico) rimandano all’Europa della Nouvelle Vague, il discorso sull’autenticità – o meglio sull’ipotesi di quest’ultima – si fa ancora più significativo. E dunque se il jazz – quella musica “su cui la gente è solita chiacchierare” – diventa ben presto e imprevedibilmente sottofondo per le sfuriate dei due amanti, il cinema stesso – come la drammaturgia filmica - vuole ribadire la sua attinenza al reale, al vero. O meglio l’ipotesi di una verosimiglianza. Parlavamo non a caso di bluff e di raccordo di macchina: la disinvoltura enfatica, scherzosa, ambigua, con cui Damien Chazelle mette in scena (termine non casuale, ma pretestuoso) la soluzione altra, l’alternative ending, non è celebrazione ma prassi critica di un certo cinema. O meglio, attraverso il dispositivo e i suoi espedienti (formali, in primis) si foggia il non-cinema, l’anti-cinema, il suo smascheramento, la sua stigmatizzazione. A favore del tragico quotidiano, verosimile, s’intende. Ed è quindi per questo che La La Land è un atto d’amore al cinematografico (non solo al cinema, come comunemente inteso), un’acuta manifestazione dell’audiovisivo, un’indagine sui modi e i mezzi del film, luogo in cui la scrittura può essere sempre approssimativa e il linguaggio mai definitivo.

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